giovedì 21 maggio 2015

Lacrime di Cenere - Volume 2: A Un Passo dalla Vita - Incipit

Quella volta era stata davvero brutta.
Più brutta delle altre, e Pietro lo sapeva. C’era poco da girarci intorno: era inutile che le sue figlie lo rassicurassero, perché lui vedeva gli occhi dei dottori. Vedeva i loro occhi, e non c’era altro da dire. Nessuna parola aggiunta a quegli sguardi avrebbe potuto dare loro più significato.
Gotta. Il dolore si diffondeva di continuo in tutto il corpo, specialmente lungo le gambe e nei piedi, e spesso era così intenso da farlo urlare nel sonno. Gli analgesici lo tenevano a bada, ma Pietro sentiva che era in agguato. Se ne stava lì, acquattato dietro un cespuglio, in attesa di spiccare il balzo finale e azzannarlo alla gola.
L’attacco che aveva subito nelle ultime ore era stato tremendo. Sommandosi ai problemi di cuore aveva generato un cocktail micidiale, che a detta dei medici aveva compromesso anche alcuni sistemi vitali.
Ormai era chiaro: dopo anni e anni di dura lotta era giunto il momento di mollare e lasciarsi trascinare via. Tanto, combattere gli avrebbe regalato solamente qualche dolorosissimo minuto in più. E prima finiva, meglio sarebbe stato per tutti.
Certo, doveva ammettere che quello che sarebbe avvenuto in seguito lo angosciava. Non aveva mai creduto completamente in Dio, come invece avevano sempre fatto i suoi fratelli. La fiducia nei riguardi del futuro preferiva riporla nelle proprie mani, piuttosto che in quelle di un’entità sconosciuta e senza volto. Però, che ci fosse inferno, paradiso o purgatorio al di là della recinzione faceva una bella differenza.
Ma c’era davvero qualcosa? O si trattava solo di una vana consolazione per far sentire meglio chi era obbligato a rimanere indietro?
Ad ogni modo, ora come ora aveva poca importanza. Se fosse successo qualcosa, dopo il suo ultimo sospiro, avrebbe accettato ciò che doveva essere. Altrimenti, l’idea di un sonno della durata dell’eternità era quantomeno allettante al termine di un’esistenza di lavoro e tribolazioni.
Ciò che più lo spaventava, comunque, era il dolore. Perché ne aveva provato tanto, tanto da fargli quasi perdere la testa, e a denti stretti aveva sopportato. Aveva urlato in silenzio.
Adesso era sotto l’effetto degli antidolorifici, appunto. Morfina e altra roba del genere, con ogni probabilità. Ma avrebbe avuto male negli ultimi momenti? Avrebbe provato un picco più acuto, più dannatamente insopportabile, o il cuore si sarebbe semplicemente fermato e poi basta?
Erano domande che lo tenevano sveglio più del dolore stesso. Non lo facevano dormire la notte. Assediavano la sua mente, come un nutrito esercito, e quanto più tentava di eliminarle tanto più esse si moltiplicavano, rimpinguando le file con truppe sempre fresche.
Non sapere niente di tutto questo era forse la parte peggiore. La mancanza di una piena consapevolezza del proprio destino era quasi intollerabile. Sarebbe morto, certo, ma questo che cosa implicava con esattezza?
Si nasceva soli e si moriva soli, sicuro. Ma quello che nessuno osava confessare era che probabilmente la solitudine sarebbe stata ancora più profonda, dopo il trapasso. Definitiva, oltretutto.
Ma ecco un’altra drammatica verità sulla morte: non lasciava alcuna libertà di scelta. Né sul dove, né sul come, né tantomeno sul quando.

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