venerdì 14 settembre 2012

Treno Fantasma

Era stata una giornata dura, ma adesso pareva fosse finalmente finita.
Non gli capitava tanto spesso di essere chiamato nell’ufficio del direttore. A dire il vero, quella per lui era stata la prima convocazione. Si era sentito a disagio, doveva ammetterlo, e confessare di aver risposto male a quel cliente per telefono era stato difficile. Ma lo aveva fatto sentire meglio, in fin dei conti, e poco importava se il direttore gli aveva consegnato una lettera di richiamo. In fondo, a ben pensarci, anche rispondere male a quel cliente sgarbato lo aveva fatto sentire meglio. Perciò se ne pentiva davvero poco, ora come ora.
Trentacinque minuti di strada dal lavoro a casa, e ne erano passati solo quindici da quando aveva abbandonato il parcheggio dell’azienda. Sospirò e sgranò gli occhi nel tentativo di riattivare la mente stanca. I fari dell’auto mettevano in fuga l’oscurità. Tirò giù il finestrino dalla sua parte per far sì che l’aria fresca gli rischiarasse i pensieri e lo aiutasse a non addormentarsi sul volante.
Svoltò a sinistra e in fondo allo stradone individuò il punto in cui i binari della ferrovia attraversavano la carreggiata. Accelerò un pochino, sperando di non incappare nel passaggio di un treno. Qualche sera capitava, e dover aspettare la fine del convoglio lo seccava parecchio. Era stanco e affamato, quando staccava dal lavoro, e l’unica cosa che desiderava era arrivare a casa dalla moglie che lo aspettava con la cena.
Ma il semaforo decise di riprendere vita proprio in quel momento. La luce rossa si accese, intensa e più profonda della notte. Un occhio vigile e iniettato di sangue.
«Maledizione» sibilò fra sé, decelerando e fermandosi alla linea di stop. Le sbarre presero ad abbassarsi adagio, calate da un meccanismo vecchio e rugginoso che le faceva scendere a scatti.
Si guardò attorno sbuffando. Era così tardi, quella sera, che non c’erano altre automobili in giro per la strada. Era pieno inverno, e le giornate parevano sempre troppo corte…
Le sbarre cessarono di abbassarsi. Un sonoro scatto metallico segnalò che erano arrivate in posizione. Spense il motore e tirò il freno a mano, mollando freno e frizione.
Puntò gli occhi sui binari immobili, sogguardando l’orologio. Perché accidenti dovevano sempre far aspettare la gente dieci minuti buoni prima che il treno arrivasse? Era un mastodontico spreco di tempo per tutti, dannazione! Non erano capaci di calare le sbarre un minuto prima dell’arrivo del treno, invece di lasciare i lavoratori a rosolarsi nel calore dell’abitacolo in un’attesa snervante?
Questa considerazione gli aveva fatto notare che cominciava a sentire freddo. Tirò su il finestrino, pensando che era dicembre e che di lì a qualche giorno avrebbe anche nevicato. Un altro fastidio in più col quale fare i conti quando era ora di andare al lavoro.
Ma quando si sarebbe deciso ad arrivare quel maledetto treno? Ormai erano già passati più di cinque minuti.
Le sbarre ripresero improvvisamente a salire a scatti, col ronzio del motore che le azionava a fare da sottofondo musicale. L’occhio rosso accanto ai binari si spense, segnalando che i veicoli in attesa potevano ripartire.
Si strofinò gli occhi. Possibile che il treno fosse passato senza che lui se ne accorgesse? Gli sembrava assurdo anche solo pensarci, eppure…
Riaccese la macchina e ascoltò i lamenti infastiditi del motore. Inserì la marcia e alzò piano la frizione, accelerando per riprendere la strada verso casa.
Transitò lentamente sopra i binari, quando le sbarre dovevano ancora sollevarsi del tutto.
Rallentò d’istinto e guardò alla propria sinistra, oltre il vetro gelido del finestrino. Intravide la sagoma di un treno disegnata nella notte con un carboncino. Solo un treno che se ne andava, e che lui non aveva visto passare mentre aspettava di fronte alle sbarre.
Un treno che se ne andava, ma le luci sembravano farsi più grandi. Sempre più grandi…
L’impatto fu così violento che l’automobile fu sbalzata dall’altra parte della strada, contro un albero. Ma non rimasero segni di alcun incidente, sulla fiancata. Soltanto il muso che aveva sbattuto contro l’albero si accartocciò addosso all’abitacolo, e nessuno parlò di un treno quando i poliziotti registrarono le deposizioni dei pochi testimoni.

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