martedì 10 luglio 2012

Gelide Tenebre Assolate - Parte 3

Si bloccò a pochi passi dalle tende, trasalendo. Una silhouette magra e slanciata gli si stava avvicinando piano, come se stesse passeggiando tranquillamente sui viali del parco dietro casa. Che fosse Nicole che lo aveva visto da distante e gli veniva incontro? Sorrise, ma appena la figura si fece più vicina riuscì a distinguere meglio i tratti asciutti e spigolosi del volto di Nicolas, così lasciò che la sua bocca si stendesse nuovamente in un’espressione di normalità.
«Nicolas, sono io, Charlie. Ritorno con buone notizie» esordì, facendosi incontro al compagno ora immobile come una vecchia statua di fronte a lui. Notò che aveva una sigaretta tra le labbra, la cui brace accesa ammiccava come un rosso occhio iniettato di sangue nella condensata penombra del crepuscolo. Certa gente riusciva sempre a scovare il modo di soddisfare i vizi più autodistruttivi, constatò Charlie con amarezza. Un filo di fumo denso e azzurrognolo trapelava zitto zitto dall’angolo della bocca di Nicolas, mentre teneva gli occhi socchiusi come per riuscire a vedere meglio chi avesse parlato.
«Charlie… Tutto a posto?» biascicò l’uomo con un tono di voce per nulla naturale, prendendo la sigaretta tra le dita e sfilandosela dalle labbra dopo aver tirato una profonda e inebriante boccata. Sembrava un po’ a disagio, e questo non passò inavvertito alle orecchie di Charlie. Qualcosa non andava, concluse immediatamente il ragazzo. Lo sguardo fisso e imbarazzato di Nicolas non lasciava presagire niente di buono.
«Sì. Ho delle ottime notizie» ribadì, come se l’uomo che gli stava dinanzi con quel fare impacciato non avesse udito la sua precedente asserzione.
Nicolas annuì a vuoto, distogliendo lo sguardo, apparentemente soprappensiero. «Io no…» sussurrò finalmente, dopo aver raccolto il poco coraggio che gli rimaneva, e tirò un’altra tremante boccata di fumo dalla sua sigaretta, le mani che non riuscivano a reggere saldamente il minuscolo cilindro bianco – bianco, sì, bianco come se non potesse portare niente di male, bianco come la purezza del benessere e della spensieratezza.
«Cos’è successo?» domandò Charlie. Non riuscì a mascherare l’angoscia che gli colorava la voce, né tuttavia esitò nel porgere al compagno l’interrogativo.
Nicolas abbassò lo sguardo, scrutandosi con apparente concentrazione le punte rinforzate degli scarponi. «Nicole…» cominciò, e non ebbe il tempo di proseguire con la frase che Charlie si era già scagliato in avanti, di corsa, diretto verso l’accampamento alle sue spalle.
«Non ce l’ho fatta…» sussurrò Nicolas al vento, permettendo ora alle lacrime di inondargli gli occhi e di rigargli le guance. «Mi dispiace…»
Charlie si precipitò al centro del campo, sotto lo sguardo smarrito e abbattuto dell’intera comunità. In lontananza, il sole tramontava senza che nessuno lo ammirasse, baciando l’orizzonte con le proprie calde labbra infuocate e versando il sangue che stillava dalle sue ferite aperte in chissà quali oceani lontani.
Quando vide il volto spento della sua amata Nicole, la cascata di capelli biondi sparsa su di una coperta distesa a terra e i meravigliosi occhi blu nascosti sotto le palpebre serrate, Charlie cedette e cadde in ginocchio, strisciando verso di lei intanto che le forze gli venivano meno, la bocca semiaperta incapace di emettere alcun suono, gli occhi strabuzzati che guardavano, ma non vedevano altro che l’esile figura della sua fidanzata sospesa nel vuoto, fluttuante in bilico sulla superficie increspata del nulla più assoluto. Al suo atono urlo di disperazione seguì un vero, possente grido dilaniante, una lacerazione del silenzio che lasciò un graffio insanguinato nell’aria, come se la scia di un aereo avesse spezzato in due l’omogeneità di quel cielo cupo e uniforme.
Le stelle germogliarono ad una ad una nella volta celeste, accendendosi a mano a mano che gli ultimi raggi di sole si smorzavano annegando al di là della linea del tramonto, e dopo qualche minuto una luna pallida ed esangue sbocciò distante, come un timido, isolato bucaneve tra la cenere. La lanterna di una notturna creatura delle ombre.
Scosso dai singulti, Charlie si accasciò sul corpo della sua Nicole, e affondò contro di lei il viso stravolto dalle lacrime – lacrime tiepide e salate che colavano tacitamente lungo i docili pendii delle sue guance sporche di polvere.
«Sono arrivati questa mattina, un paio d’ore dopo la tua partenza. Di vedetta c’era Jason. Si sono arrampicati sulla sua torretta di osservazione e lo hanno accoltellato senza produrre il minimo rumore, poi sono penetrati nell’accampamento e si sono introdotti in un paio di tende per rubare l’acqua e le armi che riuscivano a trovare. Nicolas e Giovanni li hanno saputi tenere a bada, ma Nicole non ce l’ha fatta. L’hanno uccisa, e hanno preso le scatole delle munizioni che tenevate sotto il materasso. Prima che gli fossimo addosso, si erano già volatilizzati» spiegò con un bisbiglio Sam, appoggiando la mano sulla spalla del giovane con fare paterno. Sam era stato amico di suo padre, prima che morisse, e si era sempre comportato come uno zio per Charlie.
Sollevò il capo adagio, ancora scrollato dai singhiozzi, e si volse a guardare Sam con occhi accapponati, traboccanti di lacrime. L’uomo non allontanò la propria mano dalla sua spalla, ma rimase immobile, senza proferire altro.
Charlie ritornò ad osservare i dolci lineamenti della sua adorata Nicole, confuso. Tutto ruotava vorticosamente attorno a lui, come se il mondo stesse crollando in un baratro senza fine, sgretolandosi un pezzetto dietro l’altro. Gli balzarono nella mente le immagini di quel mattino in cui la comunità aveva incontrato per strada la famiglia di Nicole, e di quella sera in cui si erano allontanati in disparte, loro due soli, e si erano conosciuti per la prima volta. Ricordò quel giorno in cui l’aveva protetta dagli insulti di una vecchia della comunità, che la accusava di essere il motivo per cui non riuscivano più a trovare un pozzo che non fosse completamente prosciugato, e poi la prima notte che avevano trascorso assieme, nella sua tenda, i loro corpi avvinghiati, stretti l’uno contro l’altra. Sembrava fosse accaduto tutto solo ieri…
Risalì dalla memoria la sua espressione accesa di quella mattina stessa, poco prima dell’alba, quando si erano svegliati assieme. Lei era carica di speranza, lo si leggeva chiaramente nei suoi splendidi occhi color del mare, e la sua voce faceva trasparire un pizzico di timore, quasi la paura che potesse succedergli qualcosa di male mentre stava lontano dal campo. Se solo non se ne fosse andato proprio quel giorno, si disse tra le lacrime, se soltanto fosse rimasto accanto a lei, lasciando perdere quella missione per la quale era partito così di buon’ora, abbandonandola da sola nella loro tenda, da sola e indifesa…
La convinzione che tutta la responsabilità gravasse interamente sul suo capo non tardò a venire, e con essa lo travolse una terrificante ventata di rimorso, che si insinuò nelle sue vene e in pochi istanti arrivò dritta al cuore, trafiggendolo. Era colpa sua se Nicole era morta. Solamente sua, ecco qual era la verità. Se non se ne fosse andato, ripeté dentro di sé, digrignando i denti, Nicole sarebbe stata ancora viva.
Si rialzò in piedi, asciugandosi le lacrime dagli occhi con il dorso della mano, e si voltò ad osservare l’espressione contrita di Sam, avvicinandosi al suo orecchio per mormorare: «In che direzione sono andati?»
«Non te lo dirò, Charlie. So che faresti una pazzia, se te lo dicessi, e non posso permettertelo» rispose Sam sottovoce; quindi, riassumendo un tono normale, aggiunse: «Questo posto non è più sicuro, purtroppo. Quei predoni che sono venuti oggi potrebbero essere soltanto l’inizio, ora che conoscono la nostra posizione e il nostro numero. Abbiamo deciso che dobbiamo spostare l’accampamento, domani stesso. Partiremo all’alba, portando solo il necessario, e ci sposteremo verso le montagne.»
Charlie non fiatò. Se ne rimase lì impassibile, fissando il vuoto con aria flemmatica, finché tutti non se ne furono andati. Quand’erano rimasti solo lui e Sam, posò nuovamente gli occhi sull’uomo, e le lacrime premettero impellenti per riprendere a scorrere tranquille sui suoi zigomi.
«Ho trovato una fonte d’acqua pulita, sul pendio della montagna. A due passi dal ponte radio» farfugliò il ragazzo, estraendo dalla tasca del giubbotto le pile e il foglietto con su scritta la frequenza che aveva riportato indietro dalla sua missione. Sam lo scrutò con stupore e prese tra le mani gli oggetti che Charlie gli porgeva, analizzandoli alla luce di una candela.
«Così sei riuscito a captare la frequenza…» gorgogliò con fare assorto, rigirandosi tra le dita quel foglietto di carta ripiegato dove un mozzicone di matita aveva scarabocchiato dei numeri a malapena comprensibili.
«È tutto come avevi predetto tu: qualcuno sta davvero tentando di ricomporre i cocci, a Londra, e questo è un appello a tutti coloro che possono raggiungere la città. Nicole, in fondo, aveva ragione a continuare a sperare…» confermò Charlie, consentendo alle lacrime di riprendere a rotolare silenziose sul contorno delle sue guance. «Prendi la comunità e portala lassù, Sam. Ritrovata la frequenza, quel messaggio registrato convincerà tutti a mettersi in marcia per Londra. Se non altro, la sorgente vi assicurerà una scorta d’acqua sufficiente ad affrontare il viaggio…» soggiunse, contemplando l’orizzonte. La notte era talmente buia da dare l’impressione che un’immensa betoniera stesse riversando un oceano d’asfalto sopra ogni cosa.
Sam lo studiò con aria turbata. «Tu che cosa farai?» volle sapere, ponendo il punto interrogativo con un filo di voce.
«Seppellirò Nicole, appena ve ne sarete andati. Qui, sul terreno che ha ospitato per due anni la nostra tenda. E poi andrò a cercarli, in qualunque parte del mondo siano andati a cacciarsi» sibilò cupo Charlie, e a queste parole il volto di Sam si rabbuiò.
«Le tracce portavano verso la città» frusciò l’uomo dopo un attimo di silenzio, come parlando tra sé e sé. Il ragazzo si girò e incontrò i suoi occhi, rivolgendogli uno sguardo di riconoscenza.
«Grazie Sam» tartagliò Charlie, finché le lacrime riprendevano a colmargli copiosamente gli occhi e ad offuscargli la vista.
«Mi dispiace per Nicole» pronunciò sincero, infine si incamminò verso la propria tenda e scomparve al suo interno, lasciando Charlie solo a rimuginare nelle tenebre accanto al corpo senza vita della ragazza che amava.
La notte scivolò via leggera come una nuvola, e presto si dissolse quando i primissimi raggi di sole si levarono in cielo per fugarla, riconquistando il trono che essa aveva occupato. Mentre la comunità era in fermento, e nella frizzante aria mattutina l’accampamento veniva smontato, Charlie stette immobile di fianco al corpo di Nicole, congelato nelle proprie emozioni. La morte, dopotutto, non era altro che l’abbandono della vita, ragionò tra sé e sé, e in quello smarrimento ci si ritrovava con se stessi. Piangere e morire erano entrambe azioni che derivavano dal soffrire, ma piangeva chi soffriva, non moriva chi piangeva. Moriva soltanto chi smetteva di piangere e soffrire. Per questo, nuovamente si asciugò le lacrime con un gesto del braccio, prima che una mano mite e consolatoria si posasse sulla sua spalla.
«Noi stiamo andando» biascicò Sam, facendo notare solo in quel momento a Charlie che la comunità si era già messa in marcia e che le scure sagome di ciascuno di loro si stagliavano sempre più piccole e sempre più lontane in direzione delle montagne.
«Buona fortuna» riuscì a pigolare Charlie, esaminando per un secondo gli occhi grigi e stanchi di Sam e scorgendovi un barlume di reale, autentica complicità. Fu capace persino di sorridergli, e questo parve far piacere a Sam.
«Buona fortuna anche a te, Charlie. E se non ci rivedremo in questa vita, allora sarà nella prossima» concluse l’uomo, e detto questo si voltò dall’altra parte e se ne andò, senza più voltarsi.
Il ragazzo attese che l’ultima schiena della comunità in cammino fosse del tutto scomparsa alla vista, quindi rivolse un debole sorriso incerto al bel volto limpido della sua Nicole e si chinò per sollevarla da terra – quanto era leggera, come prendere in mano una coperta – e portarla all’interno della loro vecchia tenda, dove con cura le lavò i capelli incrostati di terriccio e sangue rappreso e la avvolse in un lenzuolo candido, lasciando il suo viso scoperto ancora per un po’, di modo da poterla osservare mentre lavorava.
Uscì, e accanto alla tenda trovò una pala. Ringraziò mentalmente Sam per questo – sicuramente era stato lui, rifletté – e senza perdere altro tempo cominciò a scavare in mezzo alla sabbia, proprio davanti all’ingresso di quella che era stata la loro casa per ben due anni.
Piangere è normale qui, si convinse mentre faceva scorrere una palata di sabbia dopo l’altra. È come lasciarsi aspirare via l’anima e farla uscire da sé piano piano, goccia dopo goccia.
Quando ebbe scavato a sufficienza, rientrò nella tenda e riprese tra le braccia il corpo della sua amata. Nicole… Era così bella… Il destino era stato crudele a portargliela via in quel modo assurdo, con tanta spietata brutalità. Disumano, atroce destino. Che cosa gli aveva lasciato, in fin dei conti? Nulla, si rispose con amarezza. Assolutamente nulla. Perché Dio, quel Dio che sua madre pregava tanto durante i terrificanti giorni della Trasfigurazione, aveva deciso di privarlo così di ogni cosa a lui cara? Prima la pace, poi i suoi genitori, e adesso Nicole. Com’era possibile che un Dio buono e misericordioso potesse permettere che tutta questa sofferenza dovesse ricadere interamente sulle sue deboli spalle di ragazzo? Non era giusto. Non era per niente giusto.
Posò un bacio sulle fredde labbra di Nicole, quindi le coprì il viso con il lembo di lenzuolo rimasto, pensando che da quel momento in avanti la luce del sole non avrebbe mai più sfiorato con le proprie calde dita quell’ineffabile bellezza. Adagiò delicatamente la salma all’interno della fossa che aveva preparato, sopra la pozzanghera di lacrime che aveva versato mentre scavava, infine si allontanò di qualche passo, riprese la pala e cominciò a riempire la tomba che avrebbe abbracciato per sempre la sua dolce metà.
Era tutta colpa sua, replicò ancora una volta una vocina roca nella sua testa. Questa aspra consapevolezza lo faceva stare male. Anzi, peggio che male: lo distruggeva. Come aveva potuto essere così cieco e abbandonarla a quella triste e inevitabile fatalità? Nicole aveva bisogno di lui, e questo avrebbe dovuto capirlo. Invece se n’era andato, e così lei era morta. Sola. Indifesa. Pensando a lui, mentre lui era lontano – “Tre parole, nessuna soluzione: Dio è lontano”.
Aprì la mano destra stretta a pugno e vi trovò il ciondolo di Nicole – quello a forma di cuore che Nicole portava sempre, in oro bianco, che lui le aveva regalato due anni prima, trovato in una vecchia gioielleria che era andato a perlustrare alla ricerca di cibo. Se lo mise al collo, accanto al Rosario di sua madre che si infilava ogni mattina da quando i suoi genitori erano morti. Controllò che la pistola fosse carica e disinserì la sicura. Se proprio doveva essere così, si disse risoluto, ebbene: così fosse. Era pronto.

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