venerdì 11 maggio 2012

Epidemia

I profili dei palazzi, in lontananza, si stagliavano contro il cielo di piombo alla stregua di fragili calici di cristallo. Le nuvole scure promettevano loro una grandinata coi fiocchi, e i vecchi edifici di cristallo della città fantasma se ne stavano impassibili ad aspettare. Prima o poi, si sapeva, sarebbero pur dovuti crollare. E, in fondo, ora come ora era meglio che succedesse abbastanza in fretta.
Tommy l’aveva già sentita arrivare da un pezzo, ma aveva preferito non aprire bocca e attendere che prendesse posto accanto a lui. Adesso Nadia si trovava lì di fianco, con il suo respiro leggero e la sua presenza velata di malinconia. I capelli neri, lunghi, le ricadevano sulle spalle scoperte. Indossava un reggiseno blu scuro che le metteva in risalto le curve dei seni e allo stesso tempo rendeva manifesto l’atroce pallore della sua pelle. Minigonna in jeans e piedi scalzi, come le piaceva sempre stare nei giorni in cui la nostalgia si faceva più incalzante.
Davanti a loro, la città sconosciuta si stendeva su una piattaforma d’asfalto secco e scolorito. Era immobile, e i vetri opachi delle finestre guardavano verso di loro come un esercito di occhi silenziosi congelati nell’atto di osservare l’orizzonte per sempre.
Rimasero in silenzio anche loro per un po’, guardando le nubi navigare sul vento a vele spiegate e raccogliendo a fatica i pensieri che fuggivano. Alle loro spalle, la casa in riva al mare nella quale avevano trascorso le ultime cinque notti faceva da barriera allo sciacquio sommesso delle onde che si consumavano sulla spiaggia.
Presto avrebbe piovuto, e la tempesta si sarebbe gonfiata piuttosto in fretta. Non occorreva di certo un meteorologo per capirlo. E, anche se fosse servito, comunque non avrebbero avuto modo di consultarne uno. Perlomeno, di ripari ce n’erano ancora tanti. A ben pensarci, là di fronte a loro c’era un’intera città nella quale rifugiarsi in caso di maltempo. I tetti non mancavano. Erano le persone che solitamente ci stavano sotto a mancare, e a questa carenza non si poteva porre rimedio altrettanto facilmente. Purtroppo.
«Gli altri stanno dormendo?» domandò Tommy, essendosi finalmente deciso a parlare. Nadia si voltò a guardarlo quasi con riconoscenza, ringraziandolo con lo sguardo di aver infranto il silenzio per primo. Rompere il silenzio risultava sempre più difficile ad ogni giorno che passava, e non era cosa da poco. Se ciascuno di loro fosse rimasto da solo un po’ più a lungo, quanto tempo avrebbero impiegato prima di dimenticarsi il modo in cui si articolavano le frasi?
«Sì. Hanno preso sonno tutti quanti» confermò Nadia in un pigolio, sfiorando coi suoi occhi verdi e tristi l’espressione assorta di Tommy.
«Ma tu no…» notò il ragazzo, senza alcuna venatura di rimprovero.
«No» confermò lei, come in tono di scuse. Erano quattro giorni. Quattro. E cambiare casa non le era servito. Nemmeno il sussurro del mare l’aveva aiutata ad abbandonarsi al sonno, e i suoi amici cominciavano ad essere preoccupati per lei. Primo fra tutti Tommy, che ora la fissava con amarezza.
Il silenzio calò di nuovo su di loro come un sudario pulito. Le automobili ferme lungo le strade deserte, i semafori spenti che ondeggiavano spinti dal vento, le finestre opache che continuavano a scrutarli… Tutto dava quasi l’impressione di essere stato costruito dalla mano di una qualche divinità invisibile che avesse creato il mondo per prendersi gioco di loro. E invece erano resti appartenuti ad un’umanità estinta, una specie ormai distrutta e abbandonata ad una lenta e inesorabile decomposizione.
«Cinque mesi fa ero terrorizzato dall’idea dell’esame di maturità» tornò a raccontare la voce di Tommy, stavolta più roca e soffusa. «Pensavo alle prove scritte e a come sarebbero andati gli orali. Mi preoccupavo del punteggio con il quale sarei dovuto uscire dal liceo senza deludere le aspettative di nessuno… Adesso, tutte quelle ansie hanno perso totalmente di valore. Non significano più niente, perché non è rimasto niente a mantenere in vita il passato.»
Nadia sorrise. Un sorriso malinconico, come gli altri suoi sorrisi degli ultimi tempi. Ma, d’altro canto, come biasimarla? Che cosa ci poteva essere ancora di bello per cui sorridere?
«Francesco ha ancora la febbre alta. Credo che morirà stanotte, o al massimo domani» disse semplicemente, stringendosi nelle spalle. «Da qualche ora ho iniziato ad avere i brividi anch’io.»

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