sabato 24 marzo 2012

Famiglia fondamento della società

All’alba dei tempi, nei lontani e dimenticati prodromi della nostra civiltà, prima della nascita della società e dell’origine della filosofia, prima ancora che l’uomo si interrogasse sui misteri della vita e sul perché fosse stato posto nel mondo, prima di tutto questo c’era la famiglia. Era diversa da quella che conosciamo, questo è certo, ma aveva senza ombra di dubbio un suo nucleo centrale e ben distinguibile che la rendeva similare a quella che noi oggi, figli dello sviluppo delle scienze e della tecnica, siamo abituati a definire tale.
Come possiamo essere sicuri di quanto appena affermato? Ebbene, la risposta è una sola: siamo qui. Essendo noi vivi, ed essendo noi esseri umani, sembra logico asserire con una certa tranquillità che la famiglia, intesa anticamente come semplice coppia formata da due individui di sesso opposto spesso accompagnata da una prole, deve esserci sempre stata, in un modo o nell’altro. Si tratta naturalmente dell’unica conclusione plausibile per giustificare la nostra esistenza. Ma com’era la famiglia un tempo? Esisteva il concetto di amore, sia nei confronti dell’altro membro della coppia che nei riguardi dei figli e dei genitori? A questi punti interrogativi risulta più arduo dare una risposta, perciò muoviamoci con cautela.
La concezione stessa della famiglia, nel corso dei secoli e dei millenni, si è evoluta di pari passo con le società nelle quali è andata radicandosi, assumendo aspetti e configurazioni differenti in base al luogo e all’epoca nei quali la possiamo inquadrare. Ne consegue quindi che la famiglia come noi la intendiamo oggi – almeno per quanto concerne l’idea che ne abbiamo in Occidente, cioè principalmente in Europa, negli Stati Uniti e nelle nazioni che vi gravitano attorno – è frutto di un incalcolabile numero di anni di crescita, cambiamenti e conformazioni sempre più diverse e particolari. Studiare l’attuale concetto di famiglia, perciò, è un po’ come analizzarne la storia, risalire alle sue origini ripercorrendone a ritroso i rami, scendendone il poderoso tronco dalla corteccia ruvida e resistente e raggiungendone le estremità più estese delle radici.
In che situazione si trova la famiglia oggigiorno? Questo è il punto chiave da esaminare, la colonna portante che da sola regge l’intera struttura della nostra società e della stessa storia dell’uomo, ed è proprio qui che è opportuno orientare la nostra riflessione.
Innanzitutto, dobbiamo già etichettare come appurato il fatto che di questi tempi la famiglia non rappresenta più quell’ideale solido e sicuro che invece raffigurava un tempo. Le persone, in particolare i giovani, tendono a porla sempre più in secondo piano, dietro le nuove priorità delle frenetiche esistenze che si sono abituate a condurre, e ad allontanarsene il più possibile, non appena se ne presenta l’occasione. Certo, non vale per tutti i casi, ma nella maggior parte dei nuclei famigliari moderni si verifica esattamente questo. Come se i ragazzi, raggiunta una certa età, non vedessero l’ora di prendere le distanze dalla famiglia che li ha cresciuti fino a quell’istante, allo stesso tempo convinti di non volerne costruire una propria – quasi che il concetto stesso di famiglia fosse tutto un semplice, banale errore.
È una constatazione amara da fare, ma quanto mai veritiera. Basta guardarsi attorno per rendersene conto. Il tradizionale valore della famiglia è stato irrimediabilmente leso. E forse in buona parte è anche colpa degli adulti se i giovani hanno perso la loro fiducia in questa importante istituzione, sacra non soltanto dal punto di vista religioso, ma anche da quello laico in quanto fondamento stesso della società umana (si ricordi in proposito, per citare uno solo degli sterminati esempi che si potrebbero addurre, l’Articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948: «La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato»).
Perché la responsabilità di questa mancanza di fiducia nella famiglia da parte dei giovani dovrebbe essere imputata quasi completamente agli adulti? Per risalire alla soluzione di questo quesito non serve allontanarsi poi molto dalla nostra piccola realtà quotidiana: quante coppie divorziate conosciamo? Su, contiamole. Io, personalmente, ne ho in mente suppergiù una ventina, ma se ci pensassi meglio sono sicuro di poter arrivare anche al doppio senza troppo sforzo. Come possono quindi i giovani avere fiducia nella famiglia se vedono ovunque, attorno a sé, nuclei famigliari che si sgretolano come tanti piccoli castelli di sabbia troppo vicini all’acqua nell’orario dell’alta marea? Come può un bambino nutrire il desiderio di mettere su famiglia, una volta cresciuto, se soffre per la separazione di mamma e papà o percepisce accanto a sé il dolore di amici e compagni di classe causato dal divorzio dei loro genitori? Sarebbe assai difficile per chiunque, in un clima del genere, continuare a credere non soltanto nell’importanza della famiglia, ma anche nel suo ruolo di guida sicura e sempre presente, figurarsi per dei ragazzini delle scuole medie o delle elementari, il cui pensiero viene ancora profondamente influenzato da tutto ciò che sentono, vedono o avvertono.
Viviamo in un’epoca in cui l’uomo sta lottando con ogni mezzo contro i propri stessi limiti. Questa incessante battaglia produce un effetto ovvio: le persone cercano in ogni modo di eliminare o nascondere i propri errori, invece di impiegare il proprio tempo e le proprie energie per tentare di risolverli. Tutto ciò si sta irrimediabilmente riflettendo anche sull’impianto della famiglia: al minimo accenno di vacillamento da parte della coppia, i suoi componenti preferiscono sciogliersi, piuttosto che affrontare a viso aperto i problemi e faticare per provare a rimettere le cose a posto. Tale sproporzionata manifestazione di pigrizia si traduce perciò immediatamente nel divorzio, ormai divenuto la soluzione più comoda, semplice e a portata di mano. Qualcosa non va? Bene, divorzio. È così facile e veloce che non ha senso perdere tempo a cercare altre strade da percorrere. Ne risentiranno un po’ i figli, certo, ma dopotutto che importa? È sempre più pratico che sprecare dei mesi alla ricerca di un’alternativa. In fondo, è come andare al supermercato e scorrere gli scaffali per prendere una confezione di biscotti. Ce ne sono molte, e se una sembra essere rovinata, perché correre il rischio di prenderla e ritrovarsi con dei biscotti tutti frantumati quando lì accanto ce n’è già un’altra pronta, a portata di mano, e quasi sicuramente integra?
È proprio così che ragiona la mentalità moderna. Siccome il divorzio si è trasformato, con gli anni, in una cosa sempre più facile e rapida, perché perdere tempo, quando nella concezione dell’uomo contemporaneo il tempo è denaro?
In questa maniera, la smisurata fiducia che fino a pochi decenni or sono l’uomo provava nei riguardi della famiglia è ineluttabilmente venuta meno, crollando miseramente come un castello di carte ad un soffio di brezza estiva. Come fare a rimettere in piedi tale aspettativa sulla quale i nostri nonni facevano affidamento? Purtroppo l’ambiente sociale nel quale si srotolano le nostre esistenze non può consentire alla fede nella famiglia di essere ristabilita, a meno che la società stessa non si imponga di porre un drastico limite al crescente degrado che tale istituzione sta subendo. Per far sì che questo accada è necessario che le voci di ciascuno di noi si levino alte all’unisono, chiedendo di riportare al suo antico splendore l’immenso valore della famiglia. Sarà sufficiente parlarne per risolvere questo problema? Chiaramente no. Il passo successivo è educare le nuove generazioni, quei giovani che nascono ogni giorno e crescono con una concezione distorta del nucleo famigliare, insegnando loro che cosa significhi veramente famiglia e dimostrando non soltanto con le parole, ma anche con i fatti, trasformandosi in buoni esempi viventi per i ragazzi, quanto sia importante correggere assieme i propri errori, invece di occultarli e fingere che non vi siano. Solamente operando in questo senso potremo far crescere gli adulti del futuro con la convinzione che sia meglio superare i problemi e le difficoltà di coppia insieme, piuttosto che scegliere la via più comoda e gettare la spugna.
Una piccola sottolineatura si rende a questo punto necessaria: le riflessioni precedenti attorno al divorzio non affermano assolutamente che esso sia sbagliato o ingiusto. In alcuni casi, bisogna ammetterlo anche se a malincuore, esso si può rivelare doloroso ma necessario. Il problema non sta nel divorzio in sé, bensì nell’abuso che l’uomo ne sta facendo. Le persone dovrebbero tenerlo in considerazione esclusivamente come ultima risorsa disponibile, quando tutte le altre possibilità siano state scartate, e non come frontiera vicina e subitanea, preferibile a qualunque altra soluzione possa apparire più difficoltosa.
In che modo si concretizza dunque il distacco della gioventù dall’immagine della famiglia? Non confondiamo questo desiderio di allontanamento con la voglia di andarsene di casa il prima possibile: i giovani d’oggi, infatti, a causa degli studi e della difficoltà nel trovare lavoro, lasciano il tetto dei genitori sempre più tardi, obbligati non soltanto dalle vicissitudini, ma anche dalla comodità che la vita con mamma e papà garantisce fintanto che dura. La necessità di andare il più distante possibile dalla propria famiglia, invece, si manifesta nel bisogno dei ragazzi di uscire ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, anche da soli, e di sconfiggere la noia con l’alcol – e, nei casi più estremi, con le droghe. Anche questa tendenza, tuttavia, non corrisponde esattamente all’esigenza di tenersi lontani dai genitori: si tratta più che altro di una via erronea attraverso la quale fronteggiare la monocorde e ripetitiva apatia della vita moderna, che deve essere comunque percorsa nell’ombra, dove gli sguardi spesso distratti della famiglia non possono penetrare.
Il vero e proprio distacco dalla famiglia nella gioventù dei nostri giorni, invece, insorge più tardi, quando si raggiunge l’età adatta al matrimonio e ad avere dei figli. La società nella quale viviamo è profondamente individualista, e l’egoismo dilagante che da essa prende spunto fa sì che le persone, sia tra gli uomini sia tra le donne, non siano più orientate alla formazione di una coppia fissa e stabile. Si tende al proprio piacere, non a quello degli altri, e questo comporta un’irreparabile inclinazione a trascurare i bisogni di coppia per dare maggiore spazio a quelli personali, il che conduce immancabilmente alla rottura del legame, anche se esso è dettato da quello che si potrebbe definire vero amore.
Al di là di questa base comune, c’è poi il fatto che costruire una famiglia ai nostri giorni per la maggior parte delle persone appare quasi una crudeltà nei confronti dei nascituri. Per spiegare meglio tale opinione, è opportuno descrivere in maniera diretta un ragionamento che molti giovani, in tutto il mondo, operano nella propria mente quando si prospetta nel loro immediato domani la possibilità di avere dei figli: Con tutte le disgrazie che succedono al giorno d’oggi, con tutta la criminalità e la pazzia che dilagano, con tutte le notizie di assassinii, stupri, guerre e quant’altro che ogni giorno traboccano dai notiziari, come si può mettere al mondo un figlio e sperare di proteggerlo dai mali di questa società che sembra andare alla deriva sempre più di ora in ora?
Questo pensiero, nonostante venga espresso da pochi, è ampiamente comune e rispecchia nitidamente le ansie e i timori di moltissime persone intenzionate a diventare genitori. Dare alla luce un bambino in un mondo in cui ad ogni istante rischia di essere ucciso, ferito, malmenato o violentato appare fin troppo facilmente come una dimostrazione di egoistica malvagità nei suoi confronti.
Si inserisce poi il fattore economico a peggiorare ulteriormente le cose. Attualmente sposarsi e mettere al mondo dei figli è tremendamente costoso, a discapito delle voci che tentano invano di sconfessare tale credenza. La verità è che un uomo e una donna che guadagnano insieme millesettecento o milleottocento euro al mese (lordi, sia ben chiaro), con un mutuo alle spalle per pagarsi un’auto e un altro, magari, per tenersi l’appartamento che hanno voluto comprare, non possono ipotizzare nemmeno nelle più rosee aspettative di sposarsi, avere dei figli e dover per questo passare ad una casa e ad una macchina più spaziose. È semplice: non se lo possono permettere. E i giovani che vivono in questa situazione, in Italia come nel resto d’Europa, sono numerosissimi e in costante aumento.
Per tutte queste ragioni, e non soltanto per un fatto di abitudine o di “moda”, come molti asseriscono spesso un po’ troppo alla leggera, progettare ed edificare una famiglia al giorno d’oggi, per la maggior parte dei giovani, non rappresenta neppure un sogno irrealizzabile: si tratta unicamente di una condizione che non può, per forza di cose, appartenere al loro futuro.
Ecco che la sacra istituzione del matrimonio, assieme a quella della famiglia ad essa strettamente connessa, finisce per rovinare a terra e sprofondare sotto le suole delle scarpe firmate dei giovani dal domani incerto, scomparendo oltre l’orizzonte come un sole morente che rischia di non vedere mai più una nuova alba, a meno che la società non apra gli occhi e si decida a tramutare la propria impostazione individualistica in una configurazione disponibile ad accogliere l’amore altruistico del quale è imbevuto ogni nucleo famigliare.
Oggidì si parla sempre più di diritti umani, specialmente in seguito alle ultime vicende che hanno interessato la nostra società globale (l’azione intrapresa dall’ONU contro i soprusi e il massacro dei civili in Libia, soltanto per citare un esempio). Il diritto alla vita, in particolar modo, spicca tra tutti gli altri, e non si può dire che esso non interessi in maniera diretta il tema del quale stiamo trattando: come potrebbe esistere la famiglia, infatti, laddove il diritto alla vita non venga tutelato sia per i singoli che per gli stessi nuclei famigliari?
Qui ci spostiamo in una zona assai delicata, scivolando nel campo dell’etica e rischiando di spintonare qualche ideale tipicamente occidentale. Ma riflettiamo attentamente: il pensiero comune è quello di vivere in un mondo ormai fondato sui diritti, costruito di diritti e difeso dai diritti. La convinzione dei più è che la nostra società abbia raggiunto una perfetta condizione di equilibrio, uno stato di parità in tutti i sensi e in tutti i rami dell’esistenza che solo grazie allo sviluppo e alla crescita del benessere è stato possibile raggiungere. I suddetti diritti, in virtù di tali considerazioni, vengono tranquillamente definiti universali, e il valore intrinseco di questo importante aggettivo li classifica come di tutti e per tutti. Non solo, essi vengono altresì espressi quali inalienabili, irremovibili, cioè, dall’uomo che li detiene in quanto loro diretto “possessore” e “destinatario”.
Fermiamo tutto quanto e ponderiamo un istante su queste due fondamentali enunciazioni che descrivono i diritti appartenenti, perlomeno in via teorica, agli uomini di tutto il mondo. È effettivamente vero che in ogni angolo del pianeta, da nord a sud, da est a ovest, tutti gli uomini godono degli stessi diritti? Il diritto alla vita rappresenta soltanto un ideale concettuale o possiamo trovare qualche riscontro delle sue universalità ed inalienabilità?
Per spuntare questi punti interrogativi è preferibile formulare qualche esempio.
Prendiamo un giovane, suppergiù dell’età di diciotto anni, che abita in un villaggio sperduto del centro del continente africano. Ora prendiamo assieme a lui un giovane italiano, anche lui appena giunto alla maggiore età, e poniamoli a confronto.
Il ragazzo italiano ha una vita piuttosto ordinaria: va a scuola, frequenta gli amici il pomeriggio, nei fine settimana fa il giro delle discoteche e dei bar del centro, gira con addosso vestiti e scarpe costosi, il suo cellulare e il suo portafoglio gonfio di banconote in tasca, il suo portatile sottobraccio e i suoi pensieri per la testa. Le cuffiette del suo iPod riversano gettiti di musica continua nelle sue orecchie, ad ogni ora del giorno. Non ha grandi preoccupazioni. La sua priorità è arrivare a fine giornata, quando viene l’ora di andarsene a dormire, ed è fiducioso nell’indomani, che potrà portargli buone o cattive notizie. Ma l’indomani è pur sempre l’indomani, e non coincide mai con il giorno corrente.
Il villaggio in cui il ragazzo africano vive, invece, è un paesino povero e abbandonato a se stesso, con un basso numero di abitanti e un alto tasso di mortalità. Ogni mese i guerriglieri assalgono la sua casa e quelle dei suoi vicini durante gli scontri armati che interessano la zona, e ogni volta che se ne vanno lasciano il vuoto dietro di sé, alcune pareti abbattute, alcuni tetti incendiati, alcune persone uccise. Per far sì che lui stesso, la sua famiglia e i suoi fratelli abbiano da mangiare e da bere a sufficienza deve camminare dalla mattina alla sera fino alla città più vicina, perché il terreno attorno al suo villaggio è brullo e desertico e lì non cresce nulla. Ogni mattina si alza dal proprio pagliericcio scoprendo con apatica gioia di essere ancora vivo, e allo stesso tempo si sente assalire dalla paura che tra le vittime dei guerriglieri, quella settimana, ci possano essere lui o qualcuno dei suoi cari.
Di fronte ad una situazione simile, come si può parlare di reali diritti universali e inalienabili? Il giovane italiano e il ragazzo africano godono davvero degli stessi diritti? Il diritto alla vita, per il giovane africano, è valido quanto lo è per il ragazzo italiano?
Da qui al ruolo della famiglia, dunque, il passo è decisamente breve: come può infatti esserci famiglia dove non vengono tutelati i principali diritti dei quali ciascun cittadino del mondo dovrebbe poter godere e sui quali tutti gli uomini, senza alcuna distinzione, dovrebbero poter fare costante affidamento? Ne consegue che la famiglia svolge ancora un ruolo fondamentale, in Europa così come nel resto del globo, ma in quelle nazioni nelle quali i diritti umani più basilari non vengono rispettati (o non hanno la stessa valenza che possono avere in Italia, in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti e via dicendo) è evidente come essa non sia sufficiente a garantire tutto quell’insieme di inestimabili valori che invece eroga nella nostra società, malgrado quest’ultima stia cercando, negli ultimi decenni, di liberarsene per gettare maggiore luce sull’egoismo che tenta giorno dopo giorno di promulgare.
Il ruolo che riveste la famiglia nell’odierna realtà, però, benché fondamentale, appare sempre più marginale a mano a mano che il tempo passa. Mettere su famiglia sembra quasi essere ormai “passato di moda” (sembra, ma in precedenza siamo già giunti alla conclusione che non è esattamente così), come se essa non fosse più in grado di imporsi al di sopra delle altre istituzioni quale guida, protezione e tramite tra gli individui che ne fanno parte e il resto del mondo. Il concetto di famiglia che molti tendono a concepire, di questi tempi, è quello di un insieme serrato e isolato, un gruppo rigido e chiuso in se stesso che non lascia spazio ad alcuno sbocco, che opprime addirittura, in alcuni casi, e in altri soffoca la soggettività personale. Questa concezione è chiaramente errata, tuttavia pare aver preso piede un po’ dovunque, ultimamente.
Se la società contemporanea si presenta restia all’accettazione della famiglia quale nucleo primario che la compone e fa sì che essa esista, se l’omologazione e la globalizzazione stanno tramutando gli individui da persone altruistiche a menti fredde, calcolatrici ed egoistiche, possiamo evidentemente concludere che questi immani cambiamenti si stanno verificando a causa di una modificazione nella mentalità culturale stessa delle comunità. Il progresso, legato alla spasmodica caccia al denaro alla quale assistiamo ogni giorno, ha trasformato l’uomo da animale sociale, per dirla con la filosofia, ad animale individualista, e ciò comporta un inevitabile declino dell’immagine un tempo inviolabile e indiscutibile della famiglia.
I maggiori effetti di quest’alterazione non sono ancora del tutto evidenti, anche se alcuni di essi possono essere identificati con il dilagare del disinteresse generale nei riguardi dei mali del mondo (le manifestazioni di sensibilizzazione comune, infatti, sono spesso architettate apparenze volte a costruire facciate fittizie attorno a persone che in realtà stanno facendo i propri interessi) e con il crollo dei principali valori che fino al secolo scorso era compito della religione, in larga parte assente dall’animo delle nuove generazioni, e della famiglia, ente naturale presente in ogni comunità, diffondere e trasmettere a tutte le persone. Con i tempi che corrono, queste antiche fondamenta della morale umana si stanno trovando a dover lottare tenacemente contro l’egocentrico personalismo imperante, e le sorti di tale infaticabile duello appaiono tuttora inconsistenti.
In mezzo a questo indecifrabile caos c’è bisogno di tutelarsi, affinché i valori che la famiglia custodisce in sé non vengano svuotati e resi aridi e impotenti davanti alla forza distruttrice dello sviluppo di una società oltremodo competitiva. Come fare per riuscire ad impedire allo slancio individualistico dell’uomo contemporaneo di prosciugare la ricchezza senza prezzo e il ruolo morale tradizionale della famiglia, istituzione fondamentale sulla quale si erge e si regge in piedi il nostro intero, barcollante meccanismo sociale?
Risulta quanto mai lampante il grado di corruzione dei valori al quale la nostra società è giunta. Il motivo non si trova chiaramente nel fallimento dell’istituzione della famiglia, bensì nel suo tracollo provocato volontariamente dalla società medesima. L’unico modo per impedire che ciò accada, allora, è persuadere l’umanità a riesumare la sua fiducia nella famiglia e nel suo ruolo centrale e vitale: essa è al contempo vento e capitano, necessaria per far sì che le vele siano gonfie e indispensabile per impedire alla nave della società di perdere la rotta e smarrirsi nelle desolate vastità dell’oceano, dove lo scoglio che fa colare a picco i diritti si nasconde dietro ogni onda di individualismo che sale senza pietà ad assalire il vascello.
Purtroppo ci troviamo nell’era dell’informazione, un’epoca in cui gli ideali dell’apparenza e dell’egoismo sono propugnati da ogni lato, propagandati dai mass media, massima voce in capitolo, ed impersonati dagli stessi idoli delle nuove generazioni, quegli uomini e quelle donne “di successo” che spesso rifiutano la società e dimostrano di considerare la famiglia come l’ennesimo accessorio da sfoggiare o rinnegare all’occorrenza, coerentemente con la mentalità attraverso la quale si sono sempre ritrovati a dover pensare – una specie di filtro di riflessione imposto dalla società stessa, che spinge con sempre crescente pressione i giovani ad imitare quelle figure di riferimento quali modelli perfetti, invece di indicare la famiglia come mattone portante della comunità globale.
La destinazione della nave sulla quale ci troviamo, oramai, è totalmente sconosciuta. In seguito ad un ammutinamento, il capitano è stato gettato in mare; il vento è calato, così le vele si accasciano inermi addosso agli alberi che le sorreggono, ampi teli immobili bagnati dalla tiepida luce smorzata del tramonto. Viaggiamo lentamente, sospinti dalle onde, in direzione di una distesa di scogli che si stagliano sull’orizzonte infuocato. Spetta a noi, ora, decidere se prendere il timone o lasciare che il vascello prosegua lungo la via che sta seguendo. Ci resta poco tempo, e ciascuno di noi può intervenire oppure fingere che tutto vada bene e continuare a vivere la propria esistenza individuale, chiusa e destinata ad estinguersi nell’assenza più completa di diritti.
Da qui in poi la penna si rivela inutile, e le parole scritte con l’inchiostro su queste pagine bianche rimangono fisse ad osservare l’avvenire. Tocca all’uomo intervenire, facendo risuonare la propria voce e dimostrando la propria volontà di cambiare le cose. La famiglia resta comunque fondamento della società, in Europa così come nel resto del mondo, e il patrimonio di valori e diritti che detiene è insostituibile. Vedremo se in futuro si deciderà di ristabilirla quale perno centrale della comunità o di destituirla dal suo alto incarico.
Che cosa sceglierà l’umanità? Rieleggerà la famiglia a capitano della propria nave e le chiederà di essere nuovamente vento per le proprie vele o proseguirà caparbiamente contro gli scogli e le onde che finiranno per abbatterla e farla affondare? Noi questo non possiamo saperlo. Tutto ciò che ci è concesso fare è parlare alle nuove generazioni e tentare in ogni modo di insegnare loro come un ritorno ai valori morali della famiglia potrebbe rappresentare un isolotto di salvezza per la nave della società che arranca faticosamente in un lembo sconosciuto di oceano ostile. Questo è il solo potere che ci è stato concesso, e dobbiamo deciderci a sfruttarlo al più presto, prima che sia troppo tardi, prima che la nave affondi, prima che gli scogli distanti, scure silhouette nell’ombra del crepuscolo, divengano troppo vicini e comincino a conficcarsi nei fianchi di quei diritti umani che ci consentono di mantenere in vita quel poco che rimane della nostra società.
Per adesso, si tratta soltanto di un’utopia. Ma chi ci dice che con l’impegno, la perseveranza e la forza di volontà non potremo riuscire, un giorno non troppo lontano, a tramutare in realtà questo sogno di una società unica, mondiale ed egualitaria effettivamente fondata in tutto e per tutto sulla famiglia?
La strada è aperta. Adesso tocca a noi.

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